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Data pubblicazione:
27.06.2022
Lavoro: il post-pandemia non piace agli imprenditori
IL RISCHIO È CHE LA RIDOTTA PROPENSIONE AL CAMBIAMENTO RALLENTI LA RIPRESA - Smart working, ripensamento degli ambienti di lavoro, valorizzazione delle soft skill, digitalizzazione: è innegabile che la pandemia abbia avuto un forte impatto sul mercato del lavoro andando a rendere necessarie soluzioni organizzative del personale. Quello che, però emerge dalla ricerca “Employer Branding - New Normal: che tempo che fa nella vostra impresa?” – patrocinata da IAA - International Advertising Association e condotta su un campione di oltre 200 manager italiani nei settori delle risorse umane, marketing e comunicazione – è che se queste novità sono molto apprezzte dai lavoratori, lo sono però molto meno dagli impreditori. In particolare, sottolinea Andrea Cioffi, vicepresidente di IAA Italy e coordinatore della ricerca, i cambiamenti post-Covid19 della dimensione organizzativa delle imprese trovano ostacolo in “un`ancora ridotta propensione al cambiamento (dei leader, ndr), aspetto che rischia di impedire alle imprese di essere competitive nel mercato del lavoro”. Insomma, il rischio è che sia questo atteggiamento di manager e imprenditori a frenare la ripartenza.
Tutto corre tranne i contratti
Ma quali sono i cambiamenti più importanti osservati nell’organizzazione aziendale rispetto all’epoca pre-pandemica? Gli intervistati rispondono: lo smart working (70%), la valorizzazione delle soft skills (76%), e poi la maggiore digitalizzazione e automatizzazione di processi organizzativi (62%), le competenze digitali (60%) e smart-workplace, ovvero la ri-concettualizzazione degli ambienti di lavoro in uno stile più personale e meno da ufficio (60%). "Quello che non sembra essere cambiato, riguarda le tipologie di forme contrattuali", riassume Andrea Cioffi di IAA Italy. "Nelle imprese di medio - grandi dimensioni (oltre il 70% del campione) la diffusione di forme contrattuali a breve termine o di tipo non subordinato sembra essere stato contenuto". Andando quindi ad analizzare i fattori abilitanti e ostativi il cambiamento organizzativo emerge che lo stile di leadership rappresenta il più importante fattore abiliante o, contemporaneamente anche ostativo, a seconda di quanto la leadership sia diffusa e con quali modalità, sintetizza Andrea Cioffi, con a seguire il livello di maturità digitale delle persone (52%), il modello organizzativo adottato 51,47% e la tecnologia a supporto dello svolgimento del lavoro (43%).
Employer branding, questo sconosciuto
Dalla ricerca emerge inoltre come le imprese rispondenti adottino approcci poco strutturati in materia di “employer branding”, ovvero quell’insieme di valori e qualità che l’azienda riesce, con la comunicazione soprattutto, a trasferire al proprio marchio rendendosi attrattiva per mercato, consumatori e forza lavoro.
“Un ambito professionale, ancora poco esplorato e che quindi può rappresentare un`opportunità per il futuro, se colta per tempo", commenta Cioffi. "Infatti solo il 44% delle aziende ha formalizzato una strategia di employer branding, pur in assenza di metodologie formalizzare da seguire, visto che il 64% dei manager dichiara che non è stato seguito nessun modello per la formulazione della strategia di employer branding”. Inoltre, solo il 40% dei rispondenti dichiara di avere una strategia per la comunicazione verso l`esterno della strategia di employer branding, percentuale che scende al 35% se si considera la comunicazione interna.
FONTE: http://www.businesspeople.it/Lavoro/lavoro-post-pandemia-cambiamento-imprenditori-120164
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